FRANCO CERILLI: Il mancino che fece sognare San Siro
Intervista a Franco Cerilli
Nella Massese in Serie C venne soprannominato il "Nuovo Corso", e così nell'estate del 1974 fu acquistato dall'Inter con l'idea di fargli ripercorrere le gesta del grande mancino. Del resto Cerilli aveva proprio un gran piede sinistro e pure i famosi calzettoni abbassati... Nel 1976 passò al Lanerossi Vicenza con cui ottenne la promozione in massima serie. Dopo una breve parentesi al Monza tornò al Vicenza, dove divenne uno dei più importanti protagonisti della incredibile storia del famoso Real Vicenza di G.B. Fabbri, contrassegnata dallo storico secondo posto in A. Poi si trasferì al Pescara e al Padova, contribuendo alla promozione in Serie B dei biancorossi, per finire la carriera di nuovo al Vicenza. Ha fatto parte della Nazionale di Serie C guidata da Enzo Bearzot.
- Quando pensi al calcio, quale sentimento ti affiora principalmente?
C. - Il calcio è stata la mia vita. Non so a quanti anni mi portavo il pallone persino a letto...Facendo un paragone con il passato, il nostro calcio era più tecnico, passionale e forse faceva divertire di più la gente. Ora capisco meno quello attuale, forse colpa degli allenatori di oggi che usano tutti questi prefissi, 333, 444... Non badano tanto alla tecnica ma solo alla fisicità, alla corsa e il calcio come spettacolo è un po’ scaduto.
- Quindi il calcio attuale non ti piace!
C. - No, no, non mi piace tanto. Infatti se guardo indietro al calcio di più di vent’anni fa, a quello di Arrigo Sacchi, che consentiva di andare a vincere bene con autorità anche fuori casa magari senza catenaccio e gioco all’italiana, riscontro che tuttavia si praticava monotonamente in soli venti metri e con un pressing esasperato. Ecco, per me, quel calcio non era spettacolare! Ricordo partite dell’Italia allenata da Sacchi dove tutt’e due le squadre giocavano nel cerchio del centrocampo per novanta minuti. Non penso che la gente si divertisse poi così tanto! Il calcio deve essere ricco di giocate spettacolari, di tunnel, bei cross con colpi di testa e movimenti giusti. Insomma questo è il calcio che piace a me.
- Il Calcio Italiano avrebbe bisogno di un nuovo rilancio. Se tu potessi decidere, quale sarebbe il tuo piano e con quali idee?
C. - Come fece Johan Cruijff al Barcellona, obbligherei gli allenatori di tutti i settori giovanili a giocare in una stessa maniera, privilegiando prima il divertimento e la fantasia fino ai 13 anni, poi passerei alla tattica. Allenerei prima di tutto la tecnica personale di base che invece non vedo più sui campi. Tatticamente lascerei perdere per esempio un modulo del 352 e tornerei al trequartista, all’uomo dell’ultimo passaggio che nel calcio è importantissimo perché così è più facile arrivare al tiro e far bene in attacco. Tornerei un po’ indietro, mantenendo forse la difesa a zona, anche se i difensori di oggi marcano veramente proprio male! Una volta avevamo una scuola difensiva di altissimo livello, ora invece abbiamo dei problemi.
- A tuo parere qual è stato il più grande calciatore in assoluto della Storia del Calcio?
C. - Omar Sivori, è stato il mio mito! Penso anche a Maradona, ma rivedendo i filmati di Sivori mi sono convinto della sua grandezza. Segnava tanto, era un assist man e in più era dotato di grandissimi colpi e di un'ottima tecnica. Dicono che nel calcio moderno, da Sacchi in su, sarebbe impossibile competere per noi giocatori di una volta con quelli di oggi. Mi piacerebbe proprio vedere e confrontarci... La fantasia ci vuole sempre per migliorare lo spettacolo!
- Da ragazzino a quale giocatore ti sei ispirato?
C. - Assolutamente Sivori. Nella mia vita di calciatore ho portato i calzettoni abbassati apposta, proprio come il mitico Cabezón!
- Qual è stato il talento più inespresso mai incrociato sul campo?
C. - Penso a D’Amico, grande giocatore con una buona carriera. Credo che avrebbe potuto dare e fare di più nel calcio. A me piaceva tantissimo! E mi sarebbe piaciuto molto giocare con lui e Giordano davanti. Io a sinistra e D’amico a destra con Giordano centravanti. Giordano poi è stato un grandissimo centravanti, però, attenzione, dopo Boninsegna, il più grande di tutti. Te lo dico perché ho giocato con Bonimba, e posso dirti che fu una specie di Dottor. Jekyll e Mr. Hyde! Tanto gentile e disponibile fuori dal campo tanto una belva, calcisticamente parlando, un trascinatore nel rettangolo di gioco.
- Qual è stata la partita indimenticabile della tua carriera?
C. - Penso all’esordio nell'Inter a San Siro contro la Lazio, in cui feci un’ottima prestazione. Ricordo pure la prima partita con la maglia dell’Inter contro la Juventus; un’emozione indescrivibile, pensando ai grandi giocatori in campo, compagni e avversari, che solo due anni prima ammiravo come figurine della raccolta Panini...
- Qual è stato il tuo goal più bello?
C. - Ne dico due, uno con l’Inter contro la Roma, pallonetto al portiere e goal di testa e poi un altro sempre contro la Roma, quando vincemmo 4-3 con il Lanerossi Vicenza, di prima intenzione su un rimpallo da fuori area di interno sinistro sul primo palo. Me li ricordo in quanto non feci tanti goal in carriera. Se ne avessi realizzati di più probabilmente sarei entrato nel giro della Nazionale. Del resto a me piaceva di più servire il compagno e fare gli assist. Paolo Rossi ne sa qualcosa...
- Chi è stato il più bravo, anche straniero, nel tuo ruolo o in chi ti sei rivisto negli anni?
C. - Dico il tedesco Wolfgang Overath, regista mancino della grande Germania degli anni ‘70.
- Il tuo “Undici” ideale di tutti tempi? (8 italiani e 3 stranieri)
C. - Albertosi, Gentile, Facchetti, Bertini, Krol, Scirea, Causio, Rivelino, Boninsegna, Maradona, Riva.
- Pratichi, o hai praticato, sport alternativi al calcio?
C. - No, sempre e solo il calcio. Un po’ il tennis, ma ho lasciato perdere, visti i risultati...
- Oltre al calcio coltivi o hai coltivato altre passioni?
C. - No, in quanto il calcio per me è la mia passione. Dopo aver smesso di giocare ho sempre allenato a vari livelli e finchè posso mi piacerebbe sentire sempre l’odore dell’erba di un campo di calcio. Cerco di mettere la mia esperienza al servizio della squadra. E prima di tutto, anche se i miei giocatori possono aver vinto una partita, devono però aver giocato bene, altrimenti mi arrabbio! E poi, in realtà, la mia vera passione sono i miei nipotini...
- Quale auto posseduta ti è rimasta nel cuore?
C. - La prima macchina che mi sono comprato a Milano: una Bmw 2002 Ti, 4 porte, di colore grigio.
L’ANEDDOTO di Franco Cerilli.
C. - Quando debuttai a San Siro contro la Lazio, feci una gran gara. Tutti i giornali riportarono il giorno dopo commenti lusinghieri riguardo la mia prestazione. Pensai a un decollo personale positivo in seno alla squadra e invece fui messo praticamente in disparte. All’epoca ero molto giovane, ma con il tempo capì che ad estromettermi fu lo stesso allenatore Luis Suarez, in quanto, essendo stato osservatore per il Genoa l’anno precedente, mi aveva visto più volte nella Massese ritenendomi però non adatto. E così, una volta ritrovatomi all’Inter l’anno successivo, non potè smentire il suo giudizio precedente nei miei confronti e così non trascorsi una buona stagione. Pazienza! Quella all’Inter fu comunque una bellissima e indimenticabile esperienza!
Fulvio Floridia